20 set 2022

Gli antiamericani rosicano per la débacle russa, e la guerra sparisce dalla tv

@ - Credo che l’abbiamo notato tutti, ma lo nascondiamo con riluttanza. Beh, diciamo quasi tutti. Intendo questa storia dell’Ucraina che vince, sbaraglia l’armata rossa, o russa (abbiamo visto i carri armati mandati da Putin inalberare le bandiere rosse con la falce e il martello) e si affaccia alla frontiera del paese aggressore minacciandolo già soltanto con i suoni sordi del cannone e dei razzi, sicché i civili russi del tutto ignari di quel che accade fuggono terrorizzati.


Ma l’oggetto della curiosità oggi non è l’avanzata, o contrattacco ucraino. Ci hanno spiegato in tutte le salse che tanto la guerra sarà lunghissima, rivedremo i russi riprendere il sopravvento e poi forse essere ricacciati, dio sa per quanto tempo. Ma abbiamo anche imparato a non credere agli esperti militari che per lo più parlano seguendo le proprie simpatie e hanno opinioni sommarie.

Ogni volta, ed accade ogni settimana, che si scoprono fosse comuni piene di cadaveri di civili torturati – le orecchie tagliate, segni di ustioni, per non dire degli stupri – tento di calcolare il numero di cadaveri riesumati e vedo che si tratta di strage come quella delle Fosse Ardeatine, o di Marzabotto. Guardo la BBC, guardo la CNN di sinistra e Fox di destra, guardo Sky News australiana e i notiziari francesi e tedeschi e spagnoli su cui l’entità dei numeri e la mostruosità del delitto sono argomento di prima pagina, di lunghi reportage, di dibattiti in cui giornalisti e uomini cultura discutono. In Italia? È un fatto degno di nota, la diversa accoglienza nelle menti degli italiani guidati dai loro media di fronte a notizie che per orrore e sdegno possono fra loro confrontarsi: da una parte i bambini oncologici in un ospedale colpito come obiettivi con balistica precisione; e i tanti bambini morti deidratati o annegati nel viaggio infernale dell’immigrazione e lasciati senza prestare loro soccorso. Dovrebbe essere l’unico campo morale in cui uno vale uno.

L’elemento imprevedibile che traspare è l’indifferenza e anche una certa dose di fastidio per il fatto che la superpotenza russa sia stata (per ora) umiliata sul campo di battaglia. Nessuno avrebbe infatti scommesso su una vera e propria disordinata rotta dell’armata russa. Non era prevedibile. Ma meno prevedibile che mai è il fatto che la momentanea sconfitta dell’aggressore invasore non provochi alcun entusiasmo, ma semmai un sentimento misto di frustrazione e desiderio di parlare d’altro. Si avverte uno strano sentimento filorusso che è trasversale da sinistra a destra e le cui radici probabilmente vanno cercate nella grande catastrofe che cominciò con l’abbattimento del muro di Berlino sotto la supervisione di Gorbaciov e la successiva la caduta dell’Urss. Questo umore non ha nulla di ideologico, ma più probabilmente nasce dal fastidio, dal rancore se non odio puro nei confronti degli Stati Uniti. Putin in fondo – anche se va biasimato (ma senza esagerare) – è un ragazzaccio che ha avuto un primo periodo di apparente amore per l’Occidente (il discorso al Parlamento tedesco in lingua tedesca, l’amicizia con Berlusconi ma anche con Prodi in Italia), finché non ha cominciato a giocare pesante usando feroci ma lontani dai nostri occhi strumenti di repressione in Cecenia, in Georgia, in Crimea nel Donbass, per non dire della Siria dove ha macellato i nemici del regime di Assad.

In fondo, tanto decisionismo militare e spietato ricorda un po’ Stalin (di cui Putin è del resto invaghito) per il quale un morto era una tragedia, ma un milione un fatto statistico. E insomma era diventato il un tipo tosto che non si fa mettere sugli attenti da quei cafoni della Casa Bianca. Le atrocità della guerra? E che volete farci. Le guerra sono guerre e se dobbiamo parlare di guerra guardiamo le malefatte americane. Notava qualche giorno fa sull’Huffington Post Michele Mezza: “Una posizione non dissimile da quella di chi dinanzi ai campi di sterminio alla fine della guerra accusava l’Inghilterra di aver perseguitato Gandhi”. Se l’Impero dell’Est muove i cingoli (come è già avvenuto nel 1956 in Ungheria, nel 1968 con la Cecoslovacchia, nel 1979 con l’Afghanistan) la nostra prima reazione è gridare: “E allora, gli Americani? Vogliamo dimenticare forse le torture di Guantanamo, l’Iraq, il Vietnam, il colpo di Stato in Cile e l’egoismo americano che approfitta della guerra per venderci a prezzo maggiorato il suo gas?”.

La verità è che soltanto Gorbaciov illuminò la Russia e il mondo con la speranza di una pace equa, ma Gorbaciov fu liquidato proprio dai russi e dopo un fantasioso giro del fantasioso Eltsin (che distrusse l’Urss e ne ammainò la bandiera) il Kgb non poté far altri che mettere il migliore dei suoi rampolli sul trono. Risultato: la sinistra borghese ha bofonchiato molto su Putin, fondamentalmente perché era amico di Berlusconi. Putin è in ottimi e simmetrici rapporti, o almeno lo era, anche con Romano Prodi, ma lo sketch del “lettone di Putin” faceva premio sulla vignettistica. Poi però le cose sono cambiate perché non solo il mondo degli affari cerca un terreno tranquillo, ma perché Putin è cresciuto nel famoso immaginario collettivo junghiano come il nuovo campione antiamericano, il “Te spiezzo in due” dei tempi di Silvester Stallone. Ed è stato così che i benpensanti di sinistra pianin pianino si sono, con cautela e qualche incentivo, affezionati al buon soldato Putin, pur se tra soffocati tentennamenti e ammortizzatori morali. Ecco, dunque, che si arriva alla situazione attuale: i maledetti ucraini (perché, diciamolo, quel Zelensky con la maglietta militare che vuole solo armi, armi per difendersi, ma comunque armi, non ci è mai piaciuto).

E poi diciamoci la verità la sinistra non può mai essere filoamericana, se non in occasioni speciali, ma come sinistra viviamo l’America come il vero nemico e non potete toglierci questo giocattolo fondamentale per il nostro ecosistema. Del resto, l’abbiamo visto: fin dall’inizio dell’“operazione militare speciale” (“Scendo un attimo in Ucraina, l’ammazzo e torno”) si è formata una solida corrente di pensiero che ha fatto rapidamente due più due: la Russia invade l’Ucraina? Dev’essere colpa degli americani. E con l’idea fissa che la Nato sia non una alleanza, ma un impero simmetrico e nemico di quello russo. Putin rivuole il suo impero? E allora i Paesi limitrofi devono cedere la sovranità, perché il Paese più grande del pianeta che va da Varsavia a Tokyo, fa brutti sogni e soffre di insicurezza. Tutto ciò non ha a che fare con le ideologie. Anzi, è forse giunta l’ora di avanzare il sospetto, senza gridarlo troppo forte, che non è mai esistita una “guerra fredda” fra capitalismo e comunismo.

Non c’è stato mai alcuno scontro fra ideologie. C’è stato invece mezzo secolo di guerra imminente, una guerra fatta di armi e che per fortuna non scoppiò. Ma era guerra militare per combattere la quale la Russia si dissanguò nel tentativo di costruire la forza sufficiente per catturare l’Europa occidentale sbattendo fuori gli americani. Chiunque può leggere verbali delle esercitazioni del Patto di Varsavia che avevano sempre lo stesso tema: “Le forze imperialiste attaccano i Paesi socialisti che con fulminea rapidità estromettono gli invasori e li ricacciano oltre l’Atlantico”. La guerra fredda, del resto, non era così fredda e non è mai finita proprio perché non era una guerra ideologica. Oggi è obbligatorio usare l’aggettivo geopolitica, ma con molta psicopatologia. Era la guerra della mentalità e imperiale russa contro l’Occidente e quella guerra non fu mai chiusa. Se fossero sempre autentici i sentimenti di sdegno per le violenze dei forti sui deboli e dei ricchi sui poveri ciò che accade nell’Ucraina occupata avrebbe dovuto provocare moti di ribrezzo, e di indignazione per una invasione barbarica condotta da soldati bambini e gruppi di mercenari del battaglione Wagner o truppe cecene per applicare una dottrina militare in cui l’elemento terroristico è considerato un legittimo strumento militare, ribadito da Putin, che prevede di colpire come obbiettivo primario gli ospedali, come sta accadendo in queste ore.

Chi ne avesse voglia e tempo provi a frequentare i canali della BBC perennemente impegnati in commenti sulle atrocità russe su bambini, donne e malati mentre da noi per ora si produce un curioso fenomeno di imbarazzo e “benaltrismo”: il benaltrismo è la figura retorica che si usa per dire: “Ben altri” son i problemi che interessano l’opinione pubblica, ben altro che la guerra in Ucraina”. Probabilmente molti benpensanti di sinistra in fondo si ritrovano fedeli al richiamo di Mosca perché, come dicono gli inglesi, “My country, right or wrong”, quella è la mia patria, non importa se abbia torto o ragione. Ed è questo sentimento sempre più diffuso la punta di lancia del putinismo.




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