@ - L’Africa cambia, si trasforma, accelera. E questa volta, a dettare il ritmo della corsa, non è la Cina. Il nuovo asse infrastrutturale che sta prendendo forma in Tanzania con la Standard Gauge Railway (SGR) è la dimostrazione di come le grandi potenze, emergenti e consolidate, stiano ridefinendo i loro equilibri nel continente.
Se fino a pochi anni fa il dominio economico cinese sembrava incontrastato, la realtà attuale racconta una storia più complessa: la Turchia di Recep Tayyp Erdogan avanza, sfruttando con abilità il vuoto lasciato da Pechino in alcuni settori strategici. La costruzione della ferrovia tra Dar Es Salaam e Dodoma, e la sua futura estensione fino a Mwanza, è un caso emblematico. Non più un progetto targato “Belt and Road”, ma una grande opera realizzata dalla Yapi Merkezi, gigante dell’ingegneria turca, in collaborazione con il gruppo portoghese Mota Engil.
Il progetto ferroviario della Tanzania non è solo un’opera infrastrutturale. È un tassello chiave nel puzzle della competizione globale per il controllo dei collegamenti commerciali in Africa orientale. Connettere la capitale economica Dar Es Salaam al cuore del Paese in poco più di tre ore significa ridurre drasticamente le distanze, abbattere tempi di trasporto e aprire nuove opportunità per il commercio regionale. Ma significa anche rafforzare il ruolo della Tanzania come hub strategico dell’Africa sud-orientale, in competizione con il vicino Kenya.
E qui emerge la vera questione geopolitica: perché la Cina ha lasciato spazio alla Turchia? Fino a pochi anni fa, progetti di questa portata erano quasi esclusivamente appannaggio di aziende cinesi, capaci di offrire finanziamenti generosi e accordi di cooperazione a lungo termine. Ma la crescente attenzione su debiti insostenibili, le pressioni internazionali sulla trasparenza degli investimenti cinesi e le nuove priorità di Pechino hanno ridotto l’entusiasmo per il finanziamento indiscriminato di grandi opere.
Per la Turchia, questa è una partita di lungo termine. Ankara si è imposta progressivamente come attore alternativo nel continente, con una strategia più flessibile rispetto a quella cinese. Se Pechino costruisce infrastrutture in cambio di accesso privilegiato alle risorse naturali, la Turchia punta su un mix di investimenti privati, accordi bilaterali e cooperazione militare e culturale.
Non è un caso che la presenza turca in Africa sia aumentata esponenzialmente negli ultimi dieci anni: nuove ambasciate, voli diretti della Turkish Airlines, espansione dell’influenza religiosa tramite le scuole islamiche. E ora, un settore strategico come le infrastrutture. La Yapi Merkezi non è alla sua prima esperienza africana: ha già lavorato su altri progetti in Etiopia, Senegal e Sudan, dimostrando di poter competere direttamente con le imprese cinesi.
Ma la domanda resta aperta: fino a che punto la Cina accetterà di cedere terreno? Il progetto ferroviario tanzaniano potrebbe essere solo un’eccezione o il segnale di una nuova tendenza in cui Pechino rivede il suo ruolo in Africa. La risposta arriverà nei prossimi anni, quando si capirà se la Belt and Road Initiative potrà realmente adattarsi a una concorrenza sempre più agguerrita.
Nel mezzo, c’è la Tanzania. Come molti Paesi africani, il governo di Dodoma si muove su un crinale sottile: accogliere investimenti esteri senza diventare dipendente da una sola potenza. L’esperienza di altri Paesi mostra che affidarsi completamente a un unico attore, che sia la Cina, la Francia o la Turchia, può essere rischioso. La vera sfida per l’Africa del futuro sarà negoziare in modo più equilibrato con le potenze globali, trasformando progetti come la SGR in strumenti di sviluppo reale e non solo in nuove catene di dipendenza economica.
Il treno ad alta velocità che attraversa la Tanzania è più di un collegamento ferroviario: è una metafora del nuovo gioco geopolitico che si sta giocando in Africa. Ankara è salita a bordo e corre veloce, ma il destino di questa corsa sarà deciso non solo dai costruttori, ma da chi saprà guidare il convoglio senza lasciarsi sopraffare dai nuovi padroni del binario.
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