17 mar 2025

Tanzania. La Turchia porta l’alta velocità come leva geopolitica

@ - L’Africa cambia, si trasforma, accelera. E questa volta, a dettare il ritmo della corsa, non è la Cina. Il nuovo asse infrastrutturale che sta prendendo forma in Tanzania con la Standard Gauge Railway (SGR) è la dimostrazione di come le grandi potenze, emergenti e consolidate, stiano ridefinendo i loro equilibri nel continente.


Se fino a pochi anni fa il dominio economico cinese sembrava incontrastato, la realtà attuale racconta una storia più complessa: la Turchia di Recep Tayyp Erdogan avanza, sfruttando con abilità il vuoto lasciato da Pechino in alcuni settori strategici. La costruzione della ferrovia tra Dar Es Salaam e Dodoma, e la sua futura estensione fino a Mwanza, è un caso emblematico. Non più un progetto targato “Belt and Road”, ma una grande opera realizzata dalla Yapi Merkezi, gigante dell’ingegneria turca, in collaborazione con il gruppo portoghese Mota Engil.
Il progetto ferroviario della Tanzania non è solo un’opera infrastrutturale. È un tassello chiave nel puzzle della competizione globale per il controllo dei collegamenti commerciali in Africa orientale. Connettere la capitale economica Dar Es Salaam al cuore del Paese in poco più di tre ore significa ridurre drasticamente le distanze, abbattere tempi di trasporto e aprire nuove opportunità per il commercio regionale. Ma significa anche rafforzare il ruolo della Tanzania come hub strategico dell’Africa sud-orientale, in competizione con il vicino Kenya.
E qui emerge la vera questione geopolitica: perché la Cina ha lasciato spazio alla Turchia? Fino a pochi anni fa, progetti di questa portata erano quasi esclusivamente appannaggio di aziende cinesi, capaci di offrire finanziamenti generosi e accordi di cooperazione a lungo termine. Ma la crescente attenzione su debiti insostenibili, le pressioni internazionali sulla trasparenza degli investimenti cinesi e le nuove priorità di Pechino hanno ridotto l’entusiasmo per il finanziamento indiscriminato di grandi opere.
Per la Turchia, questa è una partita di lungo termine. Ankara si è imposta progressivamente come attore alternativo nel continente, con una strategia più flessibile rispetto a quella cinese. Se Pechino costruisce infrastrutture in cambio di accesso privilegiato alle risorse naturali, la Turchia punta su un mix di investimenti privati, accordi bilaterali e cooperazione militare e culturale.
Non è un caso che la presenza turca in Africa sia aumentata esponenzialmente negli ultimi dieci anni: nuove ambasciate, voli diretti della Turkish Airlines, espansione dell’influenza religiosa tramite le scuole islamiche. E ora, un settore strategico come le infrastrutture. La Yapi Merkezi non è alla sua prima esperienza africana: ha già lavorato su altri progetti in Etiopia, Senegal e Sudan, dimostrando di poter competere direttamente con le imprese cinesi.
Ma la domanda resta aperta: fino a che punto la Cina accetterà di cedere terreno? Il progetto ferroviario tanzaniano potrebbe essere solo un’eccezione o il segnale di una nuova tendenza in cui Pechino rivede il suo ruolo in Africa. La risposta arriverà nei prossimi anni, quando si capirà se la Belt and Road Initiative potrà realmente adattarsi a una concorrenza sempre più agguerrita.
Nel mezzo, c’è la Tanzania. Come molti Paesi africani, il governo di Dodoma si muove su un crinale sottile: accogliere investimenti esteri senza diventare dipendente da una sola potenza. L’esperienza di altri Paesi mostra che affidarsi completamente a un unico attore, che sia la Cina, la Francia o la Turchia, può essere rischioso. La vera sfida per l’Africa del futuro sarà negoziare in modo più equilibrato con le potenze globali, trasformando progetti come la SGR in strumenti di sviluppo reale e non solo in nuove catene di dipendenza economica.
Il treno ad alta velocità che attraversa la Tanzania è più di un collegamento ferroviario: è una metafora del nuovo gioco geopolitico che si sta giocando in Africa. Ankara è salita a bordo e corre veloce, ma il destino di questa corsa sarà deciso non solo dai costruttori, ma da chi saprà guidare il convoglio senza lasciarsi sopraffare dai nuovi padroni del binario.

3 mar 2025

Decisione shock di Audi: la fabbrica chiude per sempre

@ - Audi ha preso una decisione a dir poco clamorosa. Probabilmente, vista la chiusura di una fabbrica dai connotati storici, la decisione in questione è stata presa in maniera quasi obbligatoria. E dunque, non a cuore leggero.

La recente ammissione dell'azienda ha incrinato leggermente i rapporti col pubblico, nonostante questi abbiano apprezzato la trasparenza. In seguito a questo ennesimo passo indietro, le cose potrebbero tuttavia diventare ancora più complicate.

Decisione shock di Audi: la fabbrica chiude per sempre© Fornito da Mondo Motori

Europa, prosegue la crisi
Prosegue lenta e inesorabile la crisi del settore automobilistico europeo. Dopo le grandi cadute della Germania, anche il marchio francese sembrerebbe essersi iscritto a questo infelice elenco.

Lo stabilimento predisposto per la chiusura è quello di Bruxelles. Ciò è avvenuto durante lo scorso 28 febbraio, perdendo così 3.000 posti di lavoro in un colpo solo. Una batosta durissima, non solo per l'azienda ma anche per le migliaia di lavoratori rispediti a casa.

Il 2018 per questo stabilimento ha segnato un punto di svolta a posteriori definitivo, poiché in quel preciso istante è stata adottata la produzione di veicoli elettrici. Modello di produzione che non è mai stato cambiato, essendo durato proprio fino alla chiusura.

Quali sono i motivi di questa chiusura di Audi?
Tra le motivazioni di questa chiusura bisognerebbe ricercare dei costi molto alti e una domanda nella proposta automobilistica molto scarsa. Il calo delle vendite elettriche non ha certamente contribuito, poiché c'è stata una flessione pari all'8% nel 2024.

Non è andata meglio nei mercati chiave come quello cinese, dove la percentuale è stata appena dell'11%. Questa decisione, per quanto drastica, non è passata inosservata agli occhi dei vertici europei. I quali hanno predisposto un piano d'azione per il settore.

La volontà infatti, è quella di evitare che sempre più aziende debbano ricorrere ai licenziamenti per poter sopperire ai costi elevati dei loro stabilimenti. La riqualificazione lavorativa dei lavoratori licenziati sarà uno dei tanti passaggi a tema.

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28 feb 2025

Tra i tagli di Musk c'è anche la base americana in Italia di Camp Darby

 @Cento lavoratori civili della base in Toscana hanno ricevuto la mail con l'invito a rispondere a questa domanda: "Cosa avete fatto nell'ultima settimana?"


Negli ultimi anni Camp Darby, in provincia di Pisa, è stata un po' ridimensionata, con la parte statunitense (Usag) che è passata sotto il controllo della base Usa di Vicenza. Ora anche su questo avamposto americano in Italia, residuo vivente dell'intervento Usa per la liberazione del Belpaese dal nazifascismo, arriva la scure di Elon Musk. Il capo del Doge (Dipartimento per l’efficienza governativa), impegnato in queste settimane nella verifica dei conti per i tagli alla spesa pubblica, ha scritto (o meglio, ha fatto scrivere) anche ai dipendenti di Camp Darby, chiedendo loro di spiegare cosa abbiano fatto nell'ultima settimana.

Come scrive il Tirreno è stata una doccia fredda per i cento civili che operano alle dipendenze degli Stati Uniti. In poche parole, come già avvenuto a tanti loro colleghi negli Usa, dovranno spiegare la loro utilità e il senso del loro stipendio. Se la risposta sarà ritenuta congrua, nessuna conseguenza, se invece sarà titubante o poco convincente, o addirittura non ci sarà, allora partiranno le verifiche dettagliate che, come estrema conseguenza, porteranno al taglio (licenziamento) della risorsa. L'obiettivo, come dichiarato tante volte, è il taglio massiccio degli sprechi.

La domanda, recapitata via mail, ovviamente riguarda solo il personale civile statunitense, non quello italiano né tantomeno i militari. Le persone raggiunte dalla missiva devono fare un elenco con le cinque attività svolte nell'ultima settimana di lavoro. Ma dopo le aspre polemiche degli ultimi giorni, con il braccio di ferro tra alcune agenzie federali e il Doge, dall'entourage di Musk è arrivato un chiarimento: il taglio della risorsa, in ogni caso, avverrebbe non con il licenziamento ma con le dimissioni del singolo lavoratore (da vedere come in caso di resistenza).

Dal comando dello United States Army Garrison assicurano che l'esercito Usa "eseguirà e implementerà pienamente tutte le direttive delineate negli ordini esecutivi emessi dal presidente, garantendo che vengano eseguite con la massima professionalità, efficienza e in linea con gli obiettivi di sicurezza nazionale". Non c'era da dubitarne, trattandosi di militari. Il volere del commander in chief si esegue.