5 mag 2018

La Garbatella ha resistito al fascismo e oggi resiste alla gentrificazione

La Garbatella ha resistito al fascismo e oggi resiste alla gentrificazione: "Abbiamo tutti presente quelle scene di Caro diario in cui Nanni Moretti gira per Roma in pieno agosto con la sua Vespa, visto che ne esiste addirittura una versione GTA, tanto sono diventate parte del nostro patrimonio culturale. Nel film, a un certo punto, il regista si ferma in quello che definisce il suo quartiere preferito, la Garbatella: Moretti si addentra nei lotti popolari con una scusa – sta girando un film su un pasticcere trotzkista – e si gode l’atmosfera calda e surreale della città giardino di Roma sud. Il film in questione è uscito nel 1993, quando io ero appena nata, e nella maggior parte dei casi se un posto di quegli anni viene descritto come una sorta di paradiso terrestre, oggi si è trasformato in qualche obbrobrio turistico o centro commerciale a cielo aperto. È una considerazione da vecchio con le mani dietro alla schiena che fissa i cantieri, “una volta qua era tutta campagna”, eppure spesso non è molto lontana dalla realtà. Specialmente in una città come Roma, che negli ultimi vent’anni si è trasformata – come tutte le capitali europee – in un parco divertimenti per avventori con bermuda e sandali. Non c’è nulla da fare, è lo spirito del tempo, e lamentarsene non è nemmeno così originale. Quello che si può fare, invece, è andare oltre al pacchetto standard colazione+visita al museo+cena in pizzeria e cercare tutto quello che delle grandi città è rimasto ancora autonomo e impermeabile all’omologazione, ai Foot Locker e ai Burger King attaccati ai negozi di souvenir di Papa Francesco. La Garbatella è uno di quei posti e continua misteriosamente a resistere, esattamente come ha fatto con il fascismo quasi un secolo fa.

Che Roma sia una città fatta di tantissime piccole città è cosa risaputa: ogni quartiere ha la sua storia, la sua identità, la sua fede calcistica, la sua fede politica, i suoi personaggi, il suo carattere. Non è un luogo comune, è proprio la struttura che si mostra come una specie di mosaico attraverso il quale passa una linea retta che divide nord e sud, non solo da un punto di vista geografico ma anche antropologico. Se vai a Ponte Milvio ci troverai davvero un’atmosfera da Federico Moccia, coi pischelli in macchinetta cinquanta e i vestiti firmati; a Trastevere e nei pochi posti rimasti ancora vergini dall’invasione turistica in stile To Rome with Love ci trovi il baretto dove gira un pazzo con la chitarra che canta Venditti in piazza San Calisto e la cioccolateria Valzani che sembra non essersi accorta che nel frattempo la Democrazia Cristiana si è estinta e che il muro di Berlino è crollato. Alla Garbatella tutto ciò si amplifica in modo esponenziale, e non ho mai capito perché fino a quando non ho cominciato a documentarmi sul quartiere, anche chiedendo spiegazioni ai suoi abitanti storici. Sì, ci sono dei locali e ci sono dei segni della modernità che si fanno largo, ma in modo decisamente meno prepotente che in tutti gli altri quartieri storici della capitale. Una zona che, in potenza, si presta molto bene alla gentrificazione o alla riqualificazione turistica, come è successo per il Pigneto – quartiere ormai quasi del tutto in mano alle varie hamburgherie e ai trentenni che scrivono sceneggiature mentre bevono centrifugati – o per San Lorenzo, roccaforte universitaria impraticabile se non per bere birra e contare i CFU mancanti.

Quando esci dalla fermata della metro e cammini per la Garbatella, poco importa che giorno della settimana sia e di che stagione si tratti, l’impressione è sempre che attorno a lei ci sia una bolla che filtra tutte quelle cose che mi danno fastidio degli altri quartieri di Roma. C’è silenzio ma c’è anche tanto dialogo tra le persone che abitano là, ci sono i cortili dei lotti sempre aperti – e no, non ho mai avuto bisogno di dire che stavo girando un film su un pasticcere trotzkista per giustificare la mia presenza. Guardando le facce dei ragazzini seduti sui muretti, o delle signore sulle sedie di plastica fuori casa, circondate dai lenzuoli appesi nei cortili, sembra tutto estremamente omogeneo, senza note che stonano. È una cosa rarissima, questa, negli anni della globalizzazione e delle metropoli; è una sensazione che mi capita di provare solo quando mi trovo in qualche paese sperduto." SEGUE >>>


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